Assistenza agli anziani: studiare nuovi modelli senza svalutare l'esistente

Avvenire - 19/04/2020: Articolo di Marco Trabucchi (Associazione Italiana di Psicogeriatria)

Caro Direttore,
mi spiace che in questo tempo drammatico per la vita delle residenze per anziani il Suo giornale (peraltro sempre perfetto nell'occuparsi degli “scarti”) insista nel ritenere l’attuale situazione un “modello da superare”. Sono convinto che vi siano nuovi modelli da proporre, ma in questo momento si rischia di diffondere l’idea che quanto viene fatto oggi sia carico di errori, a danno degli ospiti delle strutture. Pensiamo alle molte migliaia di operatori generosi e disponibili, che in queste settimane non si sono mai tirati indietro; diffondere l’idea che il loro lavoro appartenga a un modello da superare non è la maniera migliore per ringraziarli e per rinfrancarli sulla qualità del loro impegno giornaliero.

Allo stesso tempo cosa possono pensare le famiglie che hanno i loro cari nelle residenze? Quanti sensi di colpa induciamo inutilmente?

Superata la critica sull’opportunità di affrontare oggi questi problemi, dobbiamo impegnarci perché molte cose possano cambiare dopo la fine dell’epidemia; sarà necessario sollecitare una discussione concreta e realistica su quanto modificare nella vita organizzativa delle residenze per anziani. In premessa si deve però affermare che non vi è alcuna possibilità di affrontare la cura degli anziani senza un sistema organizzato, adeguato al trattamento delle patologie che li affliggono. Insistendo sulle alternative domiciliari anche per gli anziani gravemente ammalati, rischiamo di riprodurre lo stesso dibattito che ci ha preoccupato nei giorni scorsi sull’opportunità di curare le persone più compromesse. C’è stato qualcuno che ha affermato che sarebbe “accanimento” la cura dei vecchi ultra 85 enni ammalati...

Poi, certo, sarà necessario discutere sulle dimensioni delle strutture. Il mio caro maestro professor Achille Ardigò teorizzava strutture piccole, diffuse nel territorio, affidate alle cure delle comunità. Purtroppo, però, questo modello deve fare oggi i conti con gli aspetti economici conseguenti a un’organizzazione assistenziale seria. Quando si afferma che le dimensioni ottimali sono quelle di 100-120 posti non lo si fa per motivi astratti, ma perché rappresentano il migliore punto di equilibrio tra le esigenze economiche (cioè la possibilità di fornire cure qualificate sul piano clinico, assistenziale, psicologico) e quelle “umane”.

Oppure dobbiamo ipotizzare (sperare!) che il fondo sanitario regionale possa aumentare il proprio contributo per ogni ospite, in modo da non dover aumentare le rette a carico dei cittadini, già spesso a livelli insostenibili. Ma temo si tratti di un’ipotesi irrealizzabile a tempi brevi. Vi sarà certamente l’esigenza di trovare risposte alternative di assistenza domiciliare, creando realtà unitarie con le residenze, alle quali collegare piccole unità. Però dobbiamo essere consci che potranno rispondere solo fino ad un certo livello di gravità, perché poi le esigenze di assistenza impongono livelli superiori di qualificazione. D’altra parte, oggi nelle residenze “serie” (e non in quelle organizzate da cialtroni e da ladri, purtroppo ancora presenti in alcune zone del paese) non sono ospitate persone che potrebbero realisticamente restare a casa (una realtà invece diffusa fino a qualche decennio fa).

Se il nostro sistema di welfare funzionasse ai livelli di altri paesi, potremmo disporre di servizi migliori, ma già oggi la gran parte delle residenze per anziani opera con standard elevati. L’azione meritoria dei NAS riguarda prevalentemente situazioni di malaffare, ben lontane dagli standard della gran parte delle strutture dove gestori e operatori compiono in questi giorni piccoli, grandi miracoli.
Con viva gratitudine

Marco Trabucchi
Associazione Italiana di Psicogeriatria

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