
La Ragion di Stato e cioè l’esigenza finanziaria, ha dunque prevalso sui sacrosanti diritti dei pensionati. I pensionati italiani dovranno infatti accontentarsi del bonus Poletti in quanto la Corte costituzionale ha bocciato i ricorsi contro il decreto con cui nel maggio 2015 il governo Renzi concesse una restituzione solo parziale di quanto perso a causa della mancata rivalutazione degli assegni pensionistici, decisa nel 2011 dall’allora Governo e dichiarata incostituzionale dalla stessa Consulta.
La motivazione è che secondo la Corte "la nuova e temporanea disciplina prevista dal decreto legge n. 65 del 2015 realizza un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica". Per correre ai ripari senza esborsi eccessivi per le casse pubbliche, l’esecutivo guidato da Renzi aveva deciso che non tutti i pensionati danneggiati dal blocco delle perequazioni per biennio 2012-2013 sarebbero stati compensati per il potere d’acquisto perso, nonostante la Consulta avesse sancito che il loro "diritto, costituzionalmente fondato", a una "prestazione previdenziale adeguata" era stato "irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio". Il bonus consisteva infatti in rimborsi parziali e graduali (tra i 278 e i 750 euro) solo per i pensionati con assegni fino a 6 volte il minimo Inps. Il rimborso previsto è stato del 100% per gli assegni fino a 1.500 euro, del 40% tra 3 e 4 volte il minimo, del 20% tra il 4 e il 5 e del 10% tra 5 e 6 volte. Nessuna compensazione era prevista oltre questo tetto. La misura è costata allo Stato poco meno di 3 miliardi di euro, contro i 30 miliardi stimati nelle relazioni tecniche che accompagnavano il decreto e il disegno di legge di conversione come costo della rivalutazione integrale di tutti i trattamenti. Sono circa 6 milioni i pensionati colpiti dal provvedimento.