
La Corte costituzionale ha bocciato i ricorsi sulla parziale rivalutazione delle pensioni per gli anni 2012-2013, respingendo le censure di incostituzionalità sollevate sul decreto Poletti del 2015. La Consulta ritiene che la norma "realizzi un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica". Si salvano così i conti pubblici da un buco certo di 16-20 miliardi di euro, ma permane l’ingiustizia di una norma che ha restituito solo parzialmente ai pensionati la svalutazione delle pensioni e ad alcuni pensionati (quelli con pensione sopra 6 volte il minimo) non ha restituito nulla.
All'esame della Corte Costituzionale c'erano i ricorsi presentati da numerosi tribunali e sezioni giurisdizionali contro il decreto Poletti, varato nel 2015 dal governo Renzi dopo la bocciatura della norma Fornero che aveva bloccato per gli anni 2012-2013 l'adeguamento degli assegni con importo mensile di tre volte superiore al minimo Inps (circa 1.450 euro lordi).
Il decreto Poletti aveva previsto un rimborso solo parziale per il biennio incriminato: il 100% della restituzione spetta solo a chi ha una pensione fino a 3 volte il minimo Inps, per gli assegni da 3 a 4 volte il minimo venne stabilito il 40%, che scende al 20% per gli importi superiori di 4-5 volte, e al 10% per quelli tra 5-6 volte. Esclusi dal rimborso invece i destinatari di pensioni superiori a 6 volte il minimo).
Contro tale norma, erano state avviate numerose cause, anche dal patronato della Confartigianato. Con il proposito di far dichiarare il decreto in contrasto con i principi costituzionali di proporzionalità e adeguatezza del trattamento previdenziale, inteso come retribuzione differita, espressi dagli articoli 36 e 38 della Costituzione. Nel giudizio della Corte Costituzionale hanno evidentemente prevalso ragioni di spesa eccessiva per le casse dello Stato.