E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 aprile scorso il decreto contenente “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale” (Decreto-legge n. 66/2014), che contiene il famoso “bonus” di 80 euro per i lavoratori dipendenti con redditi superiori a 8.000 e inferiori a 26.000 euro.
Per la verità esso contiene nei suoi 50 articoli altre misure di sicuro interesse, quali:
- una prima riduzione dell’IRAP;
- l’aumento dal 20 al 26% dell’aliquota di ritenuta sulle rendite finanziarie;
- il potenziamento del contrasto all’evasione fiscale;
- la razionalizzazione della spesa pubblica per acquisto di beni e servizi;
- la riduzione della spesa pubblica per consulenze, autovetture, locazioni immobili, etc.;
- la riduzione dei costi degli Enti locali e il loro concorso alla riduzione della spesa pubblica;
- la fissazione di un tetto agli stipendi dei dirigenti della Pubblica Amministrazione;
- l’abolizione delle agevolazioni postali;
- la digitalizzazione di alcuni adempimenti;
- il monitoraggio dei debiti della P.A. e lo stanziamento di risorse per la loro liquidazione;
- un programma di edilizia scolastica.
Per quanto riguarda più specificamente il “bonus” Irpef di 80 euro, è già uscita una circolare dell’Agenzia delle Entrate che ne chiarisce alcuni aspetti applicativi. La sostanza è che Il “bonus”, sotto forma di credito d’imposta, è previsto per tutti i lavoratori dipendenti e assimilati che hanno un reddito annuo lordo complessivo – con esclusione della casa di abitazione – inferiore a 26.000 euro, purché l’imposta lorda dell’anno sia superiore alle detrazioni per lavoro dipendente (8.000 euro). L’importo del credito è di 640 euro per un anno, 80 euro mensili da maggio a dicembre, e sarà riconosciuto in busta paga senza presentare alcun tipo di domanda; nel caso di lavoratori assunti o cessati in corso d’anno, il credito verrà rapportato alla minore durata del rapporto di lavoro sulla base del numero di giorni lavorati nell’anno.
La circolare dell’Agenzia delle Entrate prevede che il “bonus” vada anche a chi rispetta i requisiti di cui sopra pur non avendo un sostituto d’imposta. E’ il caso, ad esempio, delle Colf e Badanti. Restano, quindi, escluse dal bonus di 80 euro alcune categorie di cittadini che stanno ugualmente al di sotto del limite di reddito fissato in 26.000 euro, pur essendo questi altrettanto, se non più, bisognosi di un aiuto per arrivare alla fine del mese:
- gli incapienti, vale a dire chi ha un reddito al di sotto degli 8mila euro annui e perciò non è soggetto al Fisco;
- i disoccupati;
- le Partite Iva, liberi professionisti e lavoratori autonomi;
- i pensionati.
Come si ricorderà, l’ANAP, insieme al CUPLA, è intervenuta tempestivamente attraverso comunicati stampa per denunciare l’assurdità delle norma che, mentre sceglie giustamente di agevolare fasce di popolazione con reddito basso, limita l’intervento ai soli lavoratori dipendenti ed esclude i pensionati, in aperto contrasto con l’obiettivo dichiarato dall’Esecutivo di sostegno sociale e di rilancio dei consumi.
Il Presidente del Consiglio Renzi ha successivamente precisato che a coloro che non hanno immediato accesso al “bonus” – ivi compresi i pensionati – ci si penserà poi, ma non è stato stabilito né quando, né come, per cui la nostra posizione resta critica nei confronti del provvedimento, anche se si riconoscono gli sforzi fatti per reperire le risorse necessarie attraverso riduzioni di costi superflui, razionalizzazione della spesa, monitoraggio degli acquisti di beni e servizi da parte delle Amministrazioni Pubbliche, contrasto all’evasione fiscale.
Qualche giorno fa, infatti, c’era la fondata preoccupazione che le risorse si dovessero trovare anche attraverso interventi nella Sanità che potessero incidere sui servizi e sulle prestazioni resi dal Servizio Sanitario Nazionale, dopo che negli ultimi cinque anni abbiamo assistito a tagli indiscriminati in questo settore, a cura dei precedenti Governi, per oltre 25 miliardi di euro. Per questo il CUPLA era intervenuto con un comunicato stampa per ribadire la propria contrarietà a riduzioni di risorse per il S.S.N..
Ora, il Decreto n. 66/14 appena emanato prevede che le misure che comportano spesa in esso contenute, quali il “bonus” fiscale, la riduzione dell’IRAP, il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione, la messa in sicurezza delle scuole, sono finanziate dalle maggiori entrate e dai risparmi previsti dal provvedimento, tra cui non compaiono espressamente interventi sulla sanità. Tuttavia, è un dato di fatto che lo stesso decreto stabilisce che le Regioni debbono ridurre la spesa per beni e servizi per 700 milioni euro e il dubbio è che, visto che la spesa sanitaria è largamente preponderante nella composizione del bilancio di questi enti, alla fine i risparmi si faranno a scapito delle tutele sanitarie.
Il Ministro Lorenzin assicura che saranno toccati solo quei beni e servizi legati al funzionamento delle strutture e non direttamente all’erogazione delle prestazioni sanitarie e che, anzi, i risparmi verranno reinvestiti nella sanità, però le preoccupazioni rimangono intatte sia per quanto riguarda l’applicazione della spending revue nella sanità, sia per eventuali ulteriori manovre che potrebbero essere presentate, visto anche che le previsioni di finanziamento del S.S.N. contenute nel DEF 2014 sono più basse di quelle fissate nel DEF 2013.
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