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Sono state depositate le motivazioni della sentenza con la quale il 20 gennaio scorso la Corte costituzionale ha dichiarato “inammissibile” la richiesta di referendum sulla legge Fornero proposta dalla Lega Nord: “disomogeneità del quesito” e collegamento con la legge di bilancio, i due punti cardine della pronuncia di inammissibilità.

La richiesta di referendum era relativa all’articolo 24 (Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici) del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo risultante per effetto di modificazioni e integrazioni successive”.

La richiesta in esame è stata dichiarata inammissibile “per motivi che attengono sia alla natura della normativa che si intende abrogare, sia alla struttura del quesito”.

Riguardo al primo profilo la Consulta “rileva il divieto di ammissibilità del referendum abrogativo di leggi di bilancio”, a cui la normativa oggetto del referendum è riconducibile, in quanto a questa categoria – come si rileva da precedenti sentenze della stessa Consulta – sono “riconducibili quelle leggi che presentino ‘effetti collegati in modo così stretto all’ambito di operatività’ delle leggi di bilancio, da essere sottratte a referendum, diversamente dalle altre innumerevoli leggi di spesa”.

Con l’ulteriore puntualizzazione che un tale “stretto collegamento si può ritenere sussista se il legame genetico, strutturale e funzionale con le leggi di bilancio sia tale che le norme sostanziali collegate incidano direttamente sul quadro delle coerenze macroeconomiche e siano essenziali per realizzare l’indispensabile equilibrio finanziario’ 1994), in modo da rientrare nella ‘manovra di bilancio”.

Riguardo al secondo profilo, “ulteriore, a sua volta decisivo, motivo di inammissibilità della odierna richiesta di referendum è costituito dalla palese carenza di omogeneità del quesito”.

Il ministro Poletti, il giorno dopo la bocciatura del referendum, torna però ad aprire alla flessibilità sui tempi di uscita dal lavoro paventando tensioni se non ci saranno nuovi interventi nell’infinito cantiere del sistema pensionistico.

Serve più flessibilità per permettere a chi è vicino alla pensione e ha perso o rischia di perdere il lavoro di ritirarsi in anticipo. Altrimenti, “rischiamo di avere un problema sociale“. Ha detto Poletti “Noi sappiamo che esiste un problema che riguarda in particolare quelle persone che sono vicine alla pensione e che nella situazione attuale di difficoltà hanno perso o possono perdere il posto e non hanno la copertura di ammortizzatori sociali sufficiente fino a maturare la pensione. Credo che qui uno strumento flessibile che aiuti queste persone a raggiungere i requisiti, bisognerà sicuramente produrlo perché diversamente avremo un problema sociale”.

L’apertura del ministro a forme di flessibilità di questo tipo non è una novità. Ed è anche noto quale sia, a suo avviso, la possibile via d’uscita: il prestito previdenziale, ovvero la possibilità di andare in pensione in anticipo con un piccolo taglio sull’assegno.

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