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L’Italia è un Paese che invecchia, con una domanda di servizi socio-sanitari e la relativa spesa pubblica e privata destinate ad aumentare in modo considerevole nei prossimi anni, soprattutto per l’assistenza ai non autosufficienti. Un futuro che si profila molto critico, con le famiglie lasciate spesso sole ad affrontare i problemi di cura e con i servizi di assistenza a lungo termine forniti dagli enti territoriali in modo limitato, frammentato, disomogeneo e concentrati in alcune regioni. Sono i principali esiti della prima indagine su scala nazionale realizzata dall’Auser sulla realtà delle RSA, le Residenze Sanitarie Assistenziali. Nella ricerca sono stati analizzati alcuni aspetti importanti che illustrano una realtà molto disomogenea e frammentata: in diversi casi l’andamento delle tariffe risulta molto sostenuto; la comunicazione all’utenza non adeguata, esaminata attraverso l’analisi dettagliata delle Carte dei Servizi.

Molto interessanti sono inoltre le informazioni ricavabili dai bilanci finanziari di un campione delle Rsa, in base ai quali quello delle residenze sanitarie assistenziali si pone come un settore anti-ciclico per molti operatori economici, con società che producono utili. La ricerca si è basata su un campione di 129 strutture; dai risultati emerge che il numero più elevato di Rsa si trova nel Nord Italia (67 casi pari al 51,9% del totale) mentre il 25,6% (33 casi) è ubicato nel Centro Italia e il restante 22,5% (29 casi) al Sud e nelle isole.

Relativamente alla capienza delle Rsa, nella sintesi dello studio, si legge inoltre che “circa il 41,1% delle strutture (53 casi) risultano avere a disposizione dai 50 ad i 100 posti letto, mentre sono 38 (pari al 29,5% del campione esaminato) le Rsa con una capienza fino ai 200 pazienti. La più bassa incidenza riguarda le residenze sanitarie assistenziali con oltre 200 posti letto, appena il 4,7%”.

Un’altra delle criticità evidenziate è quella relativa alla disponibilità di posti; nel 45% dei casi esaminati infatti i responsabili delle Rsa hanno dichiarato di avere una lista d’attesa e solo il 15% delle strutture prese in esame fornisce indicazioni puntuali sui tempi di attesa. I ricercatori sottolineano però come queti dati “possano essere in parte falsati dalla frequente consuetudine, da parte di molte famiglie, di iscrivere i propri parenti nelle liste di attesa di più Rsa contemporaneamente”.

Dalla ricerca emerge dunque una realtà disomogenea e frammentata: con tariffe troppo care (anche 100 euro al giorno) e in continuo aumento, liste d’attesa interminabili e scarsa comunicazione. Le rette sono salite del 18,5% per la minima e del 12,8% per la massima. A giugno di quest’anno il costo giornaliero per un ospite è di 52 euro nel caso di retta minima e di 60,5 euro per la retta (+1,4 per cento rispetto a sei mesi prima). I maggiori aumenti sono in Campania, Piemonte, Lombardia e Sicilia. Nella provincia di Varese si registrano l’aumento più consistente (+3,1 euro per le rette massime) e costi per l’utenza più elevati (61,5 euro per la retta minima e 70,5 euro per la massima). Il costo a carico delle famiglie varia dai 1.100 euro mensili delle strutture residenziali fino ai 1.400 euro per quelle di tipo sociosanitario e va dai 250 agli 800 euro al mese per i centri diurni Alzheimer. Il “Network Non Autosufficienza” nel suo terzo rapporto evidenziava che nel 2006 il costo medio mensile di una Rsa era di 2.951 euro, di cui 1.505 euro gravano sulle Asl, 1.375 euro sull’utente e 71 euro sui comuni, per un costo giornaliero medio di 97 euro.
Le alte tariffe sono spiegate dall’Auser con “la recente ripresa dei livelli di inflazione, il desiderio di profitto dei gestori, la carenza di modelli organizzativi efficienti, la riduzione dell’impegno finanziario della quasi totalità delle regioni”. L’analisi di 113 bilanci consente all’associazione di dire che la crisi sembra non aver colpito queste realtà, che anzi hanno utili notevoli e che fanno gola a investitori stranieri, soprattutto francesi.

Errato inquadramento dei dipendenti, pochi infermieri professionali e scarsa visibilità di altre figure specialistiche sono le criticità emerse da un’indagine su 129 Rsa. “Questo si può ripercuotere sulla tutela dei diritti e sulla professionalità degli addetti nonché sulla qualità delle prestazioni” avverte Auser. Un’altra area critica è quella delle liste d’attesa, presenti nel 46,3 per cento delle strutture del Nord e nel 48,3 per cento del Sud. Solo il 15 per cento dei referenti di Rsa sa dare indicazioni precise sui tempi di attesa.

“Dall’analisi emerge un quadro nel complesso positivo” sottolinea comunque Auser, che valuta positivamente il diffuso rispetto delle normative (95 per cento) e dei servizi offerti, oltre alla diffusione delle Carte di servizi (88 per cento). In questi documenti però restano scarse le informazioni su come la struttura intende operare (presente solo nel 45 per cento), sui servizi aggiuntivi e sull’organizzazione interna. “Agli ospiti è garantita in genere un’ampia gamma di servizi, tuttavia circa la metà delle Rsa non consente agli utenti di utilizzare i servizi del territorio”.

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