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Secondo la Relazione annuale del CNEL al Parlamento e al Governo riguardante i livelli dei servizi erogati dalle Pubbliche Amministrazioni ai cittadini, la non autosufficienza è il secondo motivo di impoverimento delle famiglie italiane (il primo è la disoccupazione). L’entità del fenomeno è rilevante e crescente.

L’Istat stima che vi siano 2.600.000 persone in condizione di disabilità assistite in famiglia (pari al 4,8% della popolazione), cui si aggiungono 200.000 disabili minori di 6 anni e 192.000 disabili o anziani non autosufficienti ospiti nei presidi residenziali socio‐assistenziali, facendo ritenere che, complessivamente, in una famiglia su dieci viva almeno un componente con problemi di disabilità.

Al tempo stesso le stime del CENSIS ci dicono che la popolazione non autosufficiente è destinata ad aumentare in modo rilevante nel futuro, al 7,9% nel 2020 e al 10,7% nel 2040. Un report Istat del dicembre 2012 rileva che “In Italia i presidi residenziali socioassistenziali attivi al 31 dicembre 2010 sono 12.808 e dispongono complessivamente di 424.705 posti letto (7 ogni 1.000 persone residenti)”, con forti differenze territoriali: “nelle regioni del Nord si colloca il 66% dei posti letto complessivi con un tasso di 10 posti letto per ogni 1.000 residenti; al Sud la quota di offerta è soltanto di 3 posti letto per ogni mille residenti”. Né questo squilibrio è da considerarsi compensato da una migliore Assistenza domiciliare (ADI) che, anzi, è anch’essa più carente al Sud rispetto al Centro‐Nord.

Ci sono enormi differenze tra le Regioni anche a proposito di costo medio per le prestazioni residenziali. Si va dai 18.266,20 euro di Bolzano ai quasi 34mila di Trento; dai 3.587,5 della Basilicata ai 17.106,56 della Campania, ai 12.798,8 dell’Emilia‐Romagna; ai 13.993,8 del Lazio; ai 8.279,00 della Lombardia, e così via. Anche in questo caso non c’è giustificazione a tali differenze.

Quanto alla efficacia dell’intervento pubblico, da un lavoro del Censis pubblicato nel gennaio‐febbraio 2014 si evidenzia che:

  • “il modello italiano rimane fondamentalmente assistenzialistico e di fatto incentrato sulla delega alle famiglie”;
  • “risulta generalmente poco considerata la questione degli anziani non autosufficienti”;
  • “sussistono ampie zone d’ombra, nelle quali una quota importante di bisogno sembra rimanere priva di risposte”;
  • “i problemi assistenziali gravano drammaticamente sulle famiglie lasciate sole nei compiti di cura”.

A proposito dei livelli di spesa, nel paragone con gli altri Paesi europei, l’Italia, con 438 euro pro capite annui, si colloca ben al di sotto della media dei 27 Paesi dell’Unione, pari a 531 euro pro capite, ed anche la spesa per Cure di lungo termine (Long Term Care) negli ultimi anni ha subito un evidente rallentamento.

Ancora più vistosa è la sproporzione tra l’Italia e gli altri Paesi europei tra le misure erogate sotto forma di benefici cash, ossia prestazioni economiche, e in natura, ossia beni e servizi, per i quali il valore pro‐capite annuo in Italia non raggiunge i 23 euro, meno di un quinto della spesa media europea (125 euro) e pari a meno della metà della spesa rilevata in Spagna (55 euro), Paese nel quale il valore complessivo è inferiore a quello italiano.

Anche se è raro trovare chi non riconosca l’esigenza di superare la separazione tra sanità e area socio‐assistenziale, le situazioni dove veramente ci si dedichi con impegno a tale opera restano esperimenti isolati. Lavorare a questo obiettivo è tanto più urgente alla luce del fatto che gli ospedali tendono a dimettere i pazienti appena superata la fase di acuzie. Ciò ha come conseguenza che, in carenza di soluzioni alternative di lungodegenza e di Assistenza domiciliare – che tra l’altro possono avere il doppio pregio del minore costo e della migliore condizione per gli assistiti -, si scarica tutto sulle famiglie.

Va corretta la tendenza a considerare scarsa la qualificazione del lavoro di assistenza domiciliare, che invece è assai importante, come evidenziano gli stessi medici di famiglia, i quali riconoscono che il loro lavoro è molto facilitato se possono contare su una badante che svolge bene il proprio lavoro. E, a questo proposito, va rivolta una attenzione nuova al familiare che si prende cura del non autosufficiente. E’ entrata nel nostro gergo la figura del caregiver. Spesso è una donna; talvolta rinuncia ad un lavoro remunerato per dedicarsi a questa funzione con tanti problemi di rientro in un lavoro quando viene a concludersi questa funzione. Non è accettabile che per queste persone non ci si ponga il problema neppure della copertura figurativa dei contributi per la pensione.

Il Governo italiano, attraverso il Dipartimento per la famiglia, sta lavorando alla preparazione di una nuova edizione della Conferenza nazione della Famiglia. C’è da augurarsi che la materia relativa alla non autosufficienza possa essere fra quelle centrali dell’evento in programma.

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Dalla Relazione Annuale CNEL Assistenza alle persone non autosufficienti
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