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In tempi di Covid-19 sono emerse diverse necessità che riguardano i sistemi di welfare locale, tra cui quella di rafforzare i servizi socio-sanitari in senso territoriale e integrato, in alternativa all’impostazione “prestazionale” che ha caratterizzato l’evoluzione del Servizio Sanitario.

Su questa tematica è stato pubblicato recentemente uno studio sulla sanità territoriale realizzato dalla Fondazione Euricse e dal Centro di Salute Internazionale e Interculturale insieme ad altri partner nell’ambito delle attività di ricerca relative al progetto “Ripensare la salute: rafforzare l’assistenza di prossimità su base domiciliare”.

Vediamo i principali contenuti del documento.

Necessario un nuovo modello di assistenza

Durante la pandemia la mancanza di integrazione tra assistenza sociale e assistenza sanitaria è andata a discapito delle funzioni di prevenzione e di efficace intervento su aspetti sociali della tutela della salute. Ciò ha portato ad un aumento delle disuguaglianze, nonché dei fenomeni di esclusione e di emarginazione sociale.

Il modello assistenziale oggi dominante, orientato alla cura delle patologie acute e “ospedalocentrico”, risulta inadeguato a rispondere alla complessità del rapporto fra salute e benessere. Tale binomio può essere valorizzato solo a condizione di intervenire sulla molteplicità di dimensioni ambientali, relazionali, psicologiche, etc. coinvolte nella salute. Si tratta, insomma, come viene affermato nel documento, “di passare da un modello centrato sulla cura della patologia ad uno che pone l’attenzione sul mantenimento della salute”.

L’approccio fondamentale è, allora, quello dell’assistenza territoriale e, in particolare, dei servizi domiciliari, intervenendo anche su ambiti che eccedono la sfera prettamente sanitaria, come il lavoro, i trasporti, l’alimentazione, etc. C’è, insomma, la necessità di dare centralità, all’interno dell’organizzazione dei servizi territoriali, all’integrazione socio-sanitaria e alla prossimità. Tali fattori permettono, infatti, di stabilire una vicinanza rispetto alle persone e di coinvolgere tutti gli attori del territorio nel disegno dei servizi.

L’evoluzione in senso aziendalista della sanità territoriale, negli ultimi decenni, ha progressivamente marginalizzato le funzioni di prossimità, concentrando cure e servizi specialistici in grandi strutture ospedaliere aventi un’impostazione prestazionale, impermeabile alle istanze del territorio. L’esigenza di stabilire dei canali di prossimità è stata scaricata interamente sul lavoro dei medici di base.

Di particolare importanza, in questo quadro, sono i servizi legati all’ambito della domiciliarità, fondamentale per le persone, specialmente quelle più anziane, le quali, avendo un legame intimo e basilare con l’ambiente circostante (casa, mobili, oggetti, ricordi, etc.), sentono il bisogno di continuare ad abitare tali luoghi, anche quando l’autonomia va riducendosi.

La domiciliarità, per essere sostenuta, ha bisogno di strumenti molteplici e articolati (assistenza domiciliare sociale e sanitaria, centri diurni, trasporti, cura del territorio, conoscenze ecc.) e, in questo quadro, è l’assistenza domiciliare che ha certamente un ruolo decisivo.

La frammentarietà e il carattere prestazionale degli attuali sistemi di welfare locale rendono assai difficile lo sviluppo di un sistema assistenziale di prossimità improntato alle logiche di domiciliarità e di integrazione socio-sanitaria.

Il possibile ruolo del Terzo settore

Il Terzo Settore, che ha mostrato una grande capacità di leggere le particolarità e la differenziazione dei bisogni sociali, può avere un ruolo di primo piano di fronte alla crisi degli attuali schemi di welfare, anche in virtù del radicamento territoriale di tali organizzazioni.

Lo studio si concentra su possibili alternative istituzionali entro le quali il rapporto fra pubblico e Terzo Settore possa articolarsi all’insegna della collaborazione, in alternativa alle dinamiche competitive e alla subordinazione che hanno dominato il recente passato. A partire dall’analisi di alcune esperienze virtuose, viene presentato il potenziale innovativo della collaborazione fra amministrazioni pubbliche e terzo settore in ambito sociale e sanitario.

In particolare, l’introduzione della coprogrammazione e della coprogettazione, all’interno del nuovo Codice del Terzo settore del 2017, può innescare dei nuovi processi di cambiamento. Tali istituti delineano un nuovo canale di “amministrazione condivisa”, all’interno del quale pubbliche amministrazioni e Terzo settore possono collaborare alla realizzazione dell’interesse generale.

Si tratta, dunque, di un nuovo modello istituzionale, a carattere non competitivo, il cui accesso è consentito solo al Terzo settore, in virtù del suo costitutivo orientamento, ovvero della sua attitudine a rappresentare interessi collettivi grazie alla sua vicinanza a territori e comunità.

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Domiciliarità, prossimità e salute gli insegnamenti della pandemia
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