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Dal dossier risulta che la platea dei potenziali fruitori di un’apertura alla flessibilizzazione previdenziale e alle misure delle uscite anticipate sarebbe di circa due milioni di persone, tutte comprese nella fascia di età che va dai 58 anni ai 63. Questo delicato tema sarà probabilmente oggetto di dibattito in occasione dell’esame della legge di stabilità.

Sempre secondo l’Istat, sarebbero circa 111.000 coloro che sono rimasti disoccupati in età avanzata, quasi raddoppiando in percentuale (dal 3% al 5,3%) negli ultimi sette anni. Numeri che fanno emergere e comprendere l’impatto della stretta occupazionale subita dai pensionandi a partire dalla crisi internazionale sviluppatasi nel 2008 e aggravatasi nel corso del 2011.

Nella legge di stabilità è peraltro possibile che venga introdotta qualche misura specifica a favore di chi ha perso il lavoro, anche con un’età relativamente inferiore a quella pensionabile. Attualmente al di sotto dei 63 anni l’unico canale di uscita è quello della pensione anticipata per la quale sono richiesti agli uomini 42 anni e mezzo di contributi ed alle donne 41 e mezzo.

Al riguardo la stessa Istat fa rilevare che oltre la metà dei neopensionati del secondo trimestre 2015 poteva vantare oltre 40 anni di contributi, mentre meno del 7 per cento aveva una carriera inferiore ai 30 anni.

Secondo il dossier Istat, inoltre, il 52% delle donne percepisce emolumenti sotto le 1000 euro, una percentuale molto inferiore a quella degli uomini. Inoltre, dopo la gravidanza, solo il 30% delle donne torna a lavorare attivamente. Un dato in crescita in modo esponenziale durante gli anni della crisi e che purtroppo può avere un impatto notevole per il loro futuro previdenziale. Anche perché l’interruzione del lavoro si traduce nel fermo dei versamenti all’Inps, con difficoltà ad accedere alle tutele pubbliche in età avanzate o con la prospettiva di ricevere un vitalizio relativamente basso.

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