Presso l’Università la Sapienza di Roma, si è tenuto il seminario Ludopatie e GAP (Gioco d’Azzardo Patologico) nell’era di Internet: si può ancora giocare in modo “sportivo”? Il seminario ha ripreso e approfondito una serie di tematiche legate al gioco d’azzardo che sta assumendo connotazioni preoccupanti nel nostro Paese.
I giocatori problematici sono infatti tra l’1,5% e il 3,8% della popolazione, quelli patologici il 2,2%. Il dato può sembrare contenuto, ma basta pensare alle ripercussioni economiche e psicologiche sui nuclei familiari dei giocatori patologici per rendersi conto che il fenomeno è assolutamente rilevante.
Per queste ragioni, dal 2012, le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione delle persone affette da ludopatia sono entrate a far parte dei LEA (livelli essenziali di assistenza) e sportelli di sostegno alle vittime di ludopatia sono presenti a Roma, Milano, Napoli, Torino e in molti altri centri minori.
Da un’indagine condotta nel 2013 su un campione di 1000 ultrasessantacinquenni (l’azzardo non è un gioco), è emerso che il 70,7% degli intervistati aveva giocato almeno una volta durante l’anno precedente lo studio. Il 45,3% degli intervistati ha inoltre dichiarato di giocare per vincere danaro, il 19,7% per divertimento e l’8,8%per incontrare persone.
Il gioco avviene prevalentemente nelle ricevitorie e tabaccherie (44,9%), seguite dai bar (24%), dalle abitazioni (8%) e dai centri commerciali (6,4%). L’utilizzo di Internet risulta particolarmente pericoloso poiché, senza nemmeno uscire dalle mura domestiche, da un semplice gioco è facile passare a un gioco d’azzardo rischiando poi di sviluppare una vera e propria patologia.
Purtroppo l’indagine rileva che la grande disponibilità di tempo a disposizione di chi è in pensione può rappresentare un fattore di rischio. Non solo, la perdita dei ruoli sociali tradizionali – padre, madre, lavoratori, mariti, mogli – talvolta porta a un isolamento sociale nel quale si può inserire il gioco d’azzardo, con una pericolosa funzione compensatoria.
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